Eccessi e obbrobri del social networking online

20Nov08

“Negli ultimi tempi è scoppiata la FaceBook-mania in Italia. Percentuali di crescita a tre cifre e fenomeno di costume: si contano i profili finti dei VIP, da Roma a Perugia, da Firenze a Torino è un moltiplicarsi di party, si fanno ricerche” – spiegava Eleonora Pantò l’altro giorno. Da Harvard invece Corinna di Gennaro dichiara che “Facebook sta cambiando la vita politica e sociale italiana” (entrambi i post hanno dovizia di dettagli e link per approfondire). Abbondano al contempo notiziole analoghe sulle maggiori testate nostrane online, quasi quotidianamente. Addirittura è in corso una “ricerca empirica” che richiede gusti, abitudini, impressioni dirette dei tanti utenti italici che per un motio o l’altro bazzicano sul sito.

Un’avanzata alla Attila dove è assai difficile trovare spunti critici, dimenticando o ignorando quanto sottolineano da tempo diversi analisti-utenti, dai “walled garden” allo sfruttamento dell’user-generated content alla mancanza pressoché assoluta di privacy (in questa pagina ulteriori dettagli e link, pur se non aggiornatissimi). Ma non era l’altro ieri che si osannava parimenti Second Life? Dove bisogna ci fossero a tutti i costi banche e agenzie immobiliari, cani e porci. In un batter d’occhio quel nome è scomparso dalle cronache italiche online, almeno da quelle che contano. E non era già successo lo stesso con twitter e compagnia bella, passando per MySpace, ovvio? E quando si diceva in giro che se non avevi un blog, azienda o individuo, non eri nessuno ma proprio nessuno? E quando tanta gente correva a mettere email e sito web sul proprio bigliettino da visita, pur se non erano attivi o non sapevano usarli? Un po’ di memoria storica non guasta certo, anche perché si tratta di pochi anni, o anche mesi talvolta. Eppure la moda non demorde, i media spingono, gli specchietti abbagliano e tutti o quasi ci cascano, una volta dopo l’altra dopo l’altra.

Se è innegabile che tali strumenti facilitino le comunicazioni “across the globe”, è decisamente eccessivo bersi la favoletta che Facebook connetta veramente la gente. Assai utile ricordare al riguardo una puntigliosa inchiesta apparsa sul londinese Guardian a gennaio, dove si ribadiva tra l’altro: “…it is a social experiment, an expression of a particular kind of neoconservative libertarianism”, mentre per gli inserzionisti “with Facebook Ads, our brands can become a part of the way users communicate and interact on Facebook,” senza dimenticare che tra i suoi finanziatori ci sono potenti “neocon activists” legati addirittura alla CIA. Pur se non tutti vogliono aderire a simili posizioni, per quanto documentate, è indubbio che troppi entusiasti high-tech cadono in una ridicola auto-referenzialità senza fine. Esaltando gli strumenti senza creare cultura. Valutando il semplice link e una parolina azzeccata come forma privilegiata di comunicazione (comunicazione?).

Analogo atteggiamento va rivelando, sempre in questi giorni, il tam-tam online sul prossimo lancio di Wired Italia. Iniziativa di per sé encomiabile, visto, appunto, l’andazzo cultural-digitale italiano nostrano. Solo che questo scorrere ad nauseam di report, incontri, foto e volti, battute, più o meno identici, rivela l’ennesima falla. Il marketing virale non paga quando viene sparato a getto continuo su blog, siti sociali o IM, e se proprio si vuole approffitare del virus della Rete, be’ allora basta gettare qualche seme e lasciarlo operare da solo, senza forzature che sfociano prima o poi nel classico effetto-boomerang – o, peggio, nella grande moda del giorno poi dimenticata quello successivo, di cui sopra.

Chiaro, basta staccare la spina, no? Chiudere i programmi, andare offline e farsi i file propri. Consiglio utile, di cui è bene far tesoro e pratica periodica. Ma il punto è un altro. Tutte quest’entusiamo pompato e artificiale danneggia la cyber-comunicazione tra individui e il senso stesso di Internet. Domani, tra qualche ora, quale sarà la prossima ondata-gadget-mania di cui non potremo fare a meno? In ogni caso non ne abbiamo e non ne avremo bisogno. Soprattutto se puntiamo davvero a contribuire a un mondo migliore, meno caotico e chiuso, più aperto e godibile per tutti. Dove appena un miliardo di persone ha accesso alle tecnologie digitali, sugli oltre sei miliardi che popolano il pianeta Terra, e con la forbice sociale in crescita ovunque, ben oltre il digital divide. E dove gli strumenti digitali disponibili, già oggi sovrabbondanti, vanno ancorati al concreto e ai contenuti (ottimo esempio, anche se ripetuto qui, è il circuito di Global Voices). Altrimenti creeremo di fatto l’antitesi del social networking online, facendone al contempo l’apologia. Nativi o immigrati digitali, non ci resta che rimanere con i piedi ben piantati per terra – pur avendo la testa in mezzo al cielo.



7 Responses to “Eccessi e obbrobri del social networking online”

  1. In realtà come ho sempre visto avvenire in Italia in relazione alle nuove tecnologie c’è molta attenzione anche agli aspetti critici. Ad esempio molto spazio è stato dedicato alla notizia che molte aziende stanno bloccando l’accesso a facebook in quanto fa perdere tempo sul luogo di lavoro oppure alla sostenibilità economica dei siti di social network.

    Il problema semmai è che anche quando criticano lo fanno, per via di una certa incompetenza diffusa, guardando alla pagliuzza ed ignorando la trave (walled garden, rewarding degli utenti che producono i contenuti, privacy).

    Tutte cose delle quali, come sai bene, si parla, almeno in ambienti accademici, da anni negli Stati Uniti (diciamo da almeno un anno e mezzo).

    Sarebbe bello fare una ricerca comparativa confrontando gli articoli di due anni fa su fb in US con quelli di adesso in Italia.

  2. beh, un lancio è un lancio, da che mondo è mondo… il punto secondo me è che wired deve continuare a muoversi sui media sociali, e vivere l’ambiente di cui parla. vedremo.

  3. vero che c’e’ anche spazio per gli aspetti critici, fabio, ma diciamo quasi solo in ambienti accademici o comunque ristretti, che raramente toccano il “grande” pubblico, al contrario di quanto accade altrove – vedi sia il pezzone sul guardian che i molti blog/interventi spazi riguardo facebook e altro, e da tempo

    oltre all’assenza cronica di investigative journalism, c’e’ poi, certo, l’incompetenza diffusa unita agli interessi commerciali e di controllo che contribuiscono ulterioremente a queste mancate attenzione da parte degli utenti

    ottimo quella della ricerca comparativa: parti tu ? 😉

  4. no, gianluca: c’e’ lancio e lancio, altrimenti che stiamo a fare su internet? basterebbe usare i metodi del marketing tradizionale, no? qui le dinamiche e i meccanismi sono ben diversi, piegarla ai voleri del marketing virale o della comunicazione top-down non funge – lo dicono i fatti e i “guru” dei new media

    non solo wired italia, ma ciscuno di noi (intendo “italiani” in questo caso) dovremmo “vivere l’ambiente di cui parla”, proprio per questo dovremmo dare magigore atetnzione agli aspetti critici, vedi sopra – che spesso nella foga di “un lancio è un lancio” si dimenticano le specificità del medium, e annesse falle o tonfi potenziali…

  5. beh, non mi pare che wired stia usando metodi ‘tradizionali’ o top down o intrusivi, mi pare che abbiano iniziato a vivere la rete tramite un normale lifestreaming. del resto stanno partendo ora, mica potevano farlo prima. A me non sembra che abbiano monopolizzato la rete internet italiana.

  6. 6 Antonio

    Facebook, Myspace, etc… rappresentano a mio avviso la estensione massiva e commerciale del social networking.
    La grande verità che emerge da questa esplosione di comunicazione è il grande bisogno di ciascuno di essere e di esistere, ora che la rete diviene sempre più centrale.
    C’è bisogno di comprendere l’ aspetto antropologico che è alla base della necessità primaria di questo fenomeno.
    In questo momento si fa largo l’ idea che la propria identità, ovvero una parte di essa, si possa concretizzare in una forma virtuale, nel social network. E la grande possibilità di auto rigenerazione che queste reti forniscono, probabilmente più nella percezione del sè che in quella dell’ altro, è alla base di questa magia.
    Facebook a Myspace stanno cavalcando l’ onda di questo bisogno primario, oserei dire compulsivo, di esistenza e, in alcuni casi di sopravvivenza.
    Ed è ovvio che in un fenomeno di massa il livellamento culturale è verso il basso.
    Per cui, gli aspetti commerciali secondari (e in alcuni casi primari) di queste reti, la spettacolarizzazione e industrializzazione culturale di debordiana memoria si vanno ad innestare in questo contesto, assumendone probabilmente il controllo.

    A noi tutti, come personaggi di Farenheit 451, spetta il compito di conservare i libri e mantenere viva la memoria e l’ attenzione, che non venga sopita tra un profilo di Facebook o una chat di Messenger.

  7. Un’altro aspetto di Facebook su cui bisognerebbe riflettere sono le condizioni d’uso, io me le sono lette e ne e’ venuto fuori un articolo:

    http://www.giornalismi.info/gubi/articoli/art_1182.html


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