Purificare il Web e spartirsi il mondo
L’altro giorno Hu Jintao, leader del Partito Comunista cinese, ha giurato di voler “purificare” Internet. L’annuncio, rilanciato sulla prima pagina del Quotidiano del Popolo, arriva a seguito di un meeting del Politburo mirato alla «attiva creazione di una salutare cultura online». Ovvero, tenere sotto stretto controllo le frotte di cyber-utenti locali, ormai oltre 135 milioni (in Nord-america siamo a 232 milioni), inclusi 21 milioni di blogger—potenziale fonte di malcontento sociale, pericolo per la stabilità interna, e via di seguito. «La gestione di Internet è questione che influisce sullo sviluppo della cultura socialista, sulla sicurezza dell’informazione e sulla stabilità dello stato», ha dichiarato Mr. Hu. Nulla di nuovo, purtroppo. Simili posizioni riflettono la strategia-base del governo: sviluppare al meglio la tecnologia, tenendola però sotto stretto controllo, come pure chi la utilizza variamente. E mentre «per noi occidentali Internet rimane qualcosa di libero…la Cina è una potenza enorme che sta cambiando l’identità stessa di Internet», citando da un libro assai puntuale e lucido, I Padroni di Internet. Un gigante economico che va assecondato, meno che mai criticato o additato (come fanno un po’ tutte le testate d’informazione, anche online), pur se a rimetterci è la libertà di movimento e di espressione dei suoi cittadini. Non è forse così che i potenti del mondo si spartiscono la rete? O almeno ci provano. Come cercano di spartirsi tra loro l’intero pianeta—sempre e soltanto a danno dei propri sudditi.
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